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distrutte affatto, o cadute preda de’ nemici per la turpissima cupidigia dell’oro di Basso, di Acacio, di Giovanni Zibo, e dello Psallidio. Così lo veggiamo accusare l’ubbriachezza di Vero, la mollezza e il fasto di Sergio, l’ignavia di Massimino, e la niuna abilità di costui nelle cose militari. Così l’udiamo apertamente parlare e della cospirazione di Artabano, e del tradimento di Arsace, quantunque Giustiniano avesse di tali delitti dichiarati costoro assoluti. L’amor suo per la verità non gli lasciò dissimulare i peccati di Belisario, mentre pur questi era il soggetto principale di tutta la sua Storia, e la lode del quale essa pare espressamente scritta. Belisario, dic’egli, partì per Costantinopoli con niun decoro, mentre per cinque anni interi mai non potè piantar piede in Italia, nè con sicure marcie avanzarsi. In tutto quel tempo nascostamente fuggivasi coll’armata da un porto all’altro: onde tanto più i nemici si fecero sicuri e soggiogarono Roma, e tutti gli altri luoghi. Egli lasciò cinta di crudele assedio Perugia, città principale di Toscana, la quale, mentr’egli veleggiava per Costantinopoli, rimase presa.
Di questa maniera scrisse riguardo ai Senatori primarii, e ai Grandi dell’Imperio, anche a lui congiunti d’amicizia; e le scritte cose pubblicò francamente, severo sì, ma non esageratore: di che è prova che nissuno sorse a ribatterlo. Ed è in questo singolare Pro-