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bico, degli Etiopi Auxomiti, e degli Omariti Saraceni, ne’ libri che scrissi delle Guerre: ne’ quali anche esposi come Giustiniano Augusto aggiunse all’Impero romano il Palmeto. Dunque per non fare il fatto, mi fermo qui; e dico solo al proposito come abitano il monte Sina monaci, i quali liberamente godendo di una solitudine loro carissima, vivono una vita, che in sostanza non è se non una certa diligente meditazione della morte. E perchè niuna cosa mortale desiderano, ma superiori a tutte le cose umane, non cercano nè di posseder nulla, nè di curare il corpo, nè di ricrearsi in alcun modo; Giustiniano Augusto fabbricò loro una chiesa, e la dedicò alla Madre di Dio, onde possano ivi condurne la vita in preci, e pratiche sacre. Non la pose egli però sulla vetta del monte, ma molto al di sotto, perciocchè nissun uomo può pernottare là su, a cagione de’ frequenti strepiti, e di certe straordinarie cose che ivi di notte si odono, e che fortemente colpiscono la mente e l’animo degli uomini. Dicono che ivi una volta Mosè promulgò le leggi ricevute da Dio. Alle radici di quel monte lo stesso Imperadore piantò un fortissimo castello, e vi pose buon presidio, affinchè da quella spiaggia, come dissi, deserta, i Barbari Saraceni nascostamente non facciano irruzione. Questo è quanto fece ivi. Le cose poi che fece ne’ monasterii di quella regione, e delle altre parti di oriente, dirò compendiosamente in appresso.