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unicamente perchè egli era pagano; e per la ragione medesima Evagrio avere narrati quelli di Giustiniano, giunto a chiamarlo demonio scellerato e crudele. L’Eiscelio non valuta l’apologia che di Zosimo avea scritta al suo tempo il Leunclavio; e va ciecamente innanzi sulla sua sentenza non badando agl’intoppi: così egli s’immagina di aver ragione. Ma avrebbe almen dubitato alcun poco considerando che se Zosimo ed Evagrio ebbero coraggio di pubblicare quanto scrissero, l’uno di Costantino, e l’altro di Giustiniano, qualunque fossero le particolari loro affezioni, non sì facilmente può presumersi che volessero esporre la propria dignità alla giusta taccia di falsarii. La buona critica ci ha insegnato a che in tali quistioni dobbiamo attenerci.

Del rimanente invereconda, oltre l’essere calunniosa, manifestamente apparisce la sospicione dell’Eiscelio, quando di ciò che fecero malvagi uomini prostituendo la religione alla cupida loro ambizione, accagiona Procopio. Niuna crisi provò mai questo Scrittore nè a siffatto titolo, nè ad altro qualunque; e tutto c’insinua, che s’egli fosse stato di religione diversa dalla cristiana, o dato avesse in cuor suo il nome ad alcuna delle sette da Giustiniano perseguitate, scrivendo una storia che volea per alcun tempo segreta, e che seppe trovar modo di farla rimaner tale, niuna difficolta avrebbe avuto a dichiararlo: nè intanto lo ha fatto. Io potrei facilmente