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ligna stoltezza lo guida ove interpreta intenzione irreligiosa la disapprovazione de’ tanti tesori da Giustiniano gittati, mentre l’imperio era in istrettissime angustie, e orribilmente si vessavano i popoli in ogni maniera, profondendoli in regali ai Barbari, in inutili e vani edifizii, in eccessiva moltiplicazione di chiese. Dove apparisce giusta ragione di politica economia per riprovare tanta intemperanza, non v’ha bisogno di dire che per buoni principii di saggia amministrazione, non per nulla apprezzare la conversione degl’infedeli, e l’onorificenza del pubblico culto, sieno fatti tali rimproveri. Procopio, uomo di Stato, e di fino criterio, è ben miglior giudice delle cose seguite sotto i proprii occhi, di quello che lo potesse essere nel secolo XVII un professore in Helmstadt.

Il maligno ingegno di costui va più innanzi. Siccome dalle Storie stesse di Procopio e da alcuni passi della Storia segreta risulta che non si ammetteva ai pubblici officii chi non fosse cristiano, e che molti per esservi ammessi fingevano empiamente d’essere tali contra la verità, nel numero di questi egli francamente pone Procopio; e nel sentire in fatto di religione diversamente da Giustiniano pretende trovar la ragione dell’odio, ch’egli chiama amarissimo e calunnioso, con cui scrisse di quell’Imperadore, citando in esempio Zosimo, ch’egli crede aver narrati i delitti di Costantino il grande,

Procopio. 2