dice s. Paolo, chi vuole accostarsi a Dio primieramente deve credere ch’egli esiste; potremo bensì pensare che Procopio qui parli da filosofo, ma non già da adoratore degli idoli. Meno poi si può giustamente avere per tale negli altri passi che l’Eiscelio soggiunge. Uno è questo: Nell’universo romano imperio hannovi parecchie sette di Cristiani riprovate, le quali volgarmente chiamansi eresie, come de’ Montanisti, de’ Sabbaziani, e di altri molti, che travolgono le menti degli uomini; e a tutti questi ordinò che abbandonassero le loro credenze..... Comandò pure che tutti si accordassero nella medesima sentenza intorno a Cristo.... Interdisse agli Ariani i loro riti. Qui non v’ha che narrazione nuda di fatti. Un altro passo è il seguente: Metteva lo studio suo in ispingere l’animo alle cognizioni sublimi, e a perscrutare con soverchia curiosità la natura di Dio. Nè questo pure è di carattere diverso dall’altro esposto. Or dove è qui dunque spirito di paganesimo e d’idolatria? Ma, dic’egli, Procopio fa delitto a Giustiniano di queste cose come indegne di un principe. — E forse officio del principe l’occuparsi di teologia? Non ne prova in cento luoghi la Storia le pessime conseguenze? D’altronde i più saggi tra gli uomini di Stato non pensarono sempre non doversi usar violenza alla coscienza religiosa; e la tolleranza meglio corrispondere alla pubblica tranquillità? Qui stolta malignità ha guidato l’Eiscelio: ma-