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il moto di quelli d’avanti. Sul cavallo siede, gigantesca e di bronzo anch’essa, la statua dell’Imperadore vestita alla foggia d’Achille: chè così chiamano l’abito che ha. E calzata di gambiere, che lasciano nudi i malleoli: ha torace alla eroica, e in testa l’elmo, che sbattuto dalla luce dà un certo splendor brillante: e chi volesse usare stile poetico lo direbbe l’astro di autunno. Questa statua guarda l’oriente, spingendo il destriero, se io non m’inganno, contro i Persiani: colla sinistra tiene un globo, con che l’artefice accenna ubbidire al Principe l’universo mondo. Non porta spada, non asta, nè altra specie di arma, ma sovrapposta al globo la Croce, sotto i cui auspizii ha ottenuto imperio e vittoria. Tiene stesa all’oriente la destra, e colle dita allungate ordina ai Barbari stanziati colà di tenersi ne’ loro confini, nè di procedere oltre. Tali sono queste cose.

Una chiesa d’Irene erasi abbruciata insieme col vicin tempio maggiore; e Giustiniano Augusto la rifabbricò amplissima; così che in Costantinopoli, eccettuatane S. Sofia, a nessun’altra cede in grandezza. Fra l’una e l’altra era uno spedale destinato agli uomini assai poveri ed infermi. Lo avea edificato Sansone, uomo piissimo verso Dio, il quale fiorì negli anni passati. Ma quello spedale non era rimasto intatto dal furore de’ sediziosi, e con ambe quelle chiese era rimasto incendiato. Giustiniano lo fabbricò più magnificamente, e lo ingrandì, tanto di luoghi atti a contenere maggior numero di persone, quanto di rendite annue, onde in ogni tempo vi trovassero sollievo i poveri infermi. Parimente tratto da inestinguibile ardore del