Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/284

248

dice Procopio, Triboniano asseriva riguardando alla singolare pietà di lui. Quello che pe’ suoi malvagi fini col labbro dicesse Triboniano, mentre tutt’altro certamente in cuor suo dovea sentire, non può fare sorpresa ad alcuno. Ben può farne l’impudente ipocrisia di Giustiniano, che dappertutto parlava di codesta sua pietà. In proposito di che ci limiteremo a riferire il discorso, che da lui Innocenzo, vescovo di Maronia, scrive avere udito colle proprie orecchie. Sono entrato, diceva Giustiniano, nell’oratorio del glorioso Arcangelo Michele.... ed ho pregato Iddio così: Se debbono unirsi a noi nella cognizione della verità, pungili, onde presto v’acconsentano.... E voi, (diceva ai Vescovi, ai quali parlava) voi vedeste con quante ragionevoli proposizioni e pacifiche, da noi con tutta la mansuetudine e pazienza espresse, il reverendissimo vescovo Filosseno rimase persuaso. Ipocrita furberia direbbesi questa: ma stolidità dirà ognuno quel suo appropriarsi gloria di pietà, traendone il titolo da Antonino, il quale, dic’egli nella Novella 78, dalla pietà trovò il nome, e dal quale lo splendore del nome medesimo giunse a noi. Ma della sua pietà, in quanto alle largizioni fatte alle chiese, parla giustamente Evagrio. Era sivveramente prodigo, e tanto, che altre infinite opere fece, pie per certo ed accette a Dio, quando però ed egli, e gli altri che fanno tali cose, le eseguiscano co’ loro proprii beni, e possano offerirle a Dio vuote di ogni macchia di scelleraggine. Così non era di Giustiniano.

2.° Procopio dice che sotto il regno di Giustiniano non si ebbe veruna ferma opinione, o fede di Dio, veruno diritto stabile, verun patto, od altra cosa costante. Per ciò che riguarda la credenza religiosa, non solamente presero maggior voga le sette, che prima del tempo di lui sussistevano, non ostanti i suoi editti, ma sotto i suoi occhi molte ne nacquero, come quelle de’ Monoteliti, de’ Severiani, de’ Teodosiani, dei Gaianiti, degli Agnoeti, de’ Teopaschiti, degli Aftanodociti. A questo proposito dice Vittore Tunnense, che Teodosio Sica tutto quasi il palazzo, e la massima parte della capitale avea