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mente trattò Paolo, e diceva dovere essere rimandato vescovo ad Alessandria, sebbene la sede fosse stata data ad un altro, prendendo in ciò dire a pretesto, che intorno a persone sue famigliari ed ausiliari, in fatto di patrimonio e di vita non erasi proceduto da lui stesso, siccome pretendeva che dovesse farsi. E come in ciò addimostravasi caldamente impegnato, niuno omai più dubitava che Paolo non fosse per essere rimesso nella sua sede. Ma per quanto l’Imperadore così avesse comandato, non convenne in tale deliberazione Vigilio, che allora trovavasi in Costantinopoli; nè permise che si recedesse dalla sentenza che per mezzo di Pelagio riguardava come proferita da sè medesimo. Così in tutti gli affari Giustiniano non mirava che a far denaro. Ed altro simil caso è pur da narrarsi.

Un certo Faustino nato di genitori, e di avi samaritani, dalla legge costretto erasi fatto iscrivere tra Cristiani. Divenuto senatore ottenne la dignità di pro-console, la quale poco dopo deposta, dai sacerdoti fu accusato di dissimulata setta samaritana, e reo di crudeltà commesse contro i Cristiani della provincia, e di empietà. Acceso di gran furore Giustiniano, riguardò come sua calamità che il nome cristiano sotto il suo regno da alcuno fosse vituperato; e trattata in senato la causa, Faustino sulle istanze dell’Imperadore per decreto solenne andava in esiglio. Se non che intanto corrotto da enorme somma tagliò la sentenza; e poco dopo si vide Faustino sostenere la pristina dignità, trattare coll’Imperadore, le campagne che l’Imperadore possedeva in Palestina e in Fenicia, amministrare;