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se costretti i padroni delle medesime od a pagare il nolo di esse, o a portare le merci in Africa, o in Italia. Per lo che alcuni non volendo più saperne di carichi e di navigazione, abbruciate le loro navi si liberarono da quelle angherie. Ma quelli che il bisogno obbligava a vivere di tale professione, vollero dai mercatanti per le condotte un prezzo tre volte maggiore; e i mercatanti per salvarsi dalle cresciute spese alzarono poi i prezzi con chi dovea comprare. Con queste diverse arti ecco come tutti finalmente i Romani vennero a patire. Ciò risguarda le negoziazioni.

Ma non credo di dovere omettere come questi Principi tesaurizzassero sulla piccola moneta. In addietro i nummularii pagavano per ogni statere d’oro dugento dieci oboli chiamati fole a chi voleva cambiare. I Principi vedendo di poter guadagnare, stabilirono di cambiare a cent’ottanta: con che vennero a rubare a tutti i sudditi il sesto della moneta d’oro.

Siccome poi aveano essi fatto monopolio di quasi tutte le merci con incredibile e cotidiano incomodo di chi avea a comprarne, salvo che di ciò che riguardava le cose di vestito, e gli emporii delle medesime; vennero a sottilizzare finalmente anche su di queste. Una volta i mercatanti di vestiti di seta, e gli artefici de’ medesimi, negoziavano gli uni, e gli altri aveano le loro officine in due città della Fenicia, Berito e Tiro, di dove le merci di tal genere diffondevansi poi per tutto il mondo. Ma sotto il regno di Giustiniano, avendo quelli presa stanza in Costantinopoli, e in varie altre città, alzarono i prezzi della merce, allegando che