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superbia, e con tanto fasto sprezzava tutti a modo che quelli, i quali a lui per terminare gli affari che avean pendenti gli recavano grosse somme, erano obbligati ad affidarle a’ suoi domestici, non essendo permesso ad alcuno parlargli di veruna cosa, se non cogliendo il momento in cui andasse dall’Imperadore, o ne ritornasse; ed in quella occasione non potevasi dirgli che una o due parole, e bene in fretta, onde non consumasse tempo senza guadagno. Così questa parte di reggimento Giustiniano compiva.
Il prefetto del pretorio, oltre il pubblico censo, pagava ogni anno all’Imperadore tre mila libbre d’oro; e un tale provento non era fondato nè sopra una legge, nè sopra pratica de’ maggiori; ma gli veniva come per caso dall’aria; e credo che per questo appunto egli lo chiamasse aereo: ed avrebbe potuto più giustamente chiamarlo atto di sua perversità. Checchè di questo sia, certo è che di quel nome i prefetti del pretorio abusarono per più liberamente lacerare le sostanze de’ sudditi, e con ciò recarle all’Imperadore: parte però di esse per secondare il lusso imperiale aggiungevano alle ricchezze proprie. Di ciò Giustiniano li lasciava impuniti fino a tanto che si fossero ben bene impinguati; ed allora venutogli momento opportuno, e trovato di che calunniarli, cosa ch’era inevitabile, tutte le loro facoltà s’ingojò, come fece di quelle di Giovanni cappadoce. Quanti a que’ tempi ebbero quella dignità, tutti a un tratto diventarono immensamente ricchi, ad eccezione di due, uno de’ quali si fu Foca, di cui altrove io feci menzione, uomo della equità e giustizia osservantissimo, e in