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do dello stretto. Così quel uomo dichiarava il sogno fatto.

Ora è certo che Giustiniano, quando suo zio pervenne all’Imperio, trovò pienissimo l’erario dello Stato: perocchè Anastasio, fra tutti gl’Imperadori diligentissimo in provedere ai pubblici e ai domestici bisogni, temendo che il suo successore, come accade, trovando l’erario scarso travagliasse i sudditi, prima di morire riempì d’oro le casse imperiali. Tutte queste ricchezze in un istante Giustiniano dilapidò, parte nelle già accennate costruzioni marittime per niun modo necessarie, parte per appagare e conciliarsi i Barbari. Ed era questo denaro tanto, che nemmeno in cento interi anni con tutti i suoi capricci parea che il più prodigo Imperadore avesse potuto mai darvi di fondo. Infatti i prefetti de’ tesori ed erarii pubblici dichiararono, che per ventisette anni, in cui Anastasio regnò, quel Principe avea riposto senza alcuno sforzo nelle casse dell’Imperio trecento venti mila libbre d’oro, della qual somma poscia nulla rimase, poichè, anche vivente Giustino, Giustiniano, come già dissi, la dissipò.

Egli è poi affatto incredibile quanto denaro, finchè visse, contro ogni diritto rapisse, in ogni modo vessando e spogliando. Fu come una immensa voragine, che continuamente assorbiva tutte le sostanze de’ sudditi, vomitandole poscia con una specie d’impeto refluente in seno ai Barbari. E com’ebbe perdute le pubbliche ricchezze si mise a depredare quelle de’ privati. A questo effetto di molti doviziosissimi sì in Costantinopoli, che altrove, si appropriò le sostanze violentemente, fa-