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le mani sopra pochi denari che di Prisco erano rimasti.
A Teodora era caduto in sospetto Areobindo, famiglio barbaro di nascita, ma giovane di bellissima indole ch’essa teneva per ispettore della sua suppellettile. A punirlo senza che ne avesse alcun motivo, e mentre pur dicevasi che ne fosse innamorata, da prima lo fece frustare: indi cosa poi seguisse di lui, nè io, nè altri sino al dì presente abbiamo potuto saperlo. Imperocchè quello che Teodora voleva che stesse nascosto, vi rimaneva: chè a toglierlo dalla bocca, e dalla memoria di tutti, sapeva incutere tal terrore a quelli che del fatto fossero consapevoli, che nissun tiranno per l’addietro era giunto mai a tanto; nè v’era pericolo, che dicessero parola o ai loro più intimi, o a chi mossi da curiosità ne li avessero domandati. All’opposto nulla era a lei nascosto di quanto concerneva alle persone, alle quali era avversa, tenendo essa spie da per tutto, per le strade, per le piazze, nelle case stesse: con che sapeva e gli affari e i discorsi di ognuno. Quando essa voleva che s’ignorasse il gastigo che avesse dato ad alcuno, se questi fosse stato patrizio, lo chiamava di nascosto, e sola, senza alcuno che vedesse, lo consegnava ad uno de’ suoi satelliti, onde lo deportasse alla estremità dell’Imperio romano; e il satellite di notte tempo, velatogli il capo, e ben legato, lo imbarcava, e lo conduceva al luogo dell’esiglio, che gli si era comandato. Là lo consegnava ad un altro ministro non inesperto di tanta crudeltà, onde sotto fidatissimi custodi e segretissimi, occultamente lo tenesse chiuso, finchè o l’Au-