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loro enormissime somme per conciliarsene, diceva, ed assicurarne l’amicizia: cosa che dicemmo avere anche fatta vivendo Giustino. Le quali somme poi avute, que’ medesimi altri capi e le turbe loro eccitavano ad entrare nelle provincie dell’Imperio, e a saccheggiarle, per vendergli anch’essi a peso d’oro la pace. Nè tardarono questi a depredare le città de’ Romani, e ad ottenere con ciò dall’Imperadore per sì bel merito gli stipendii; e a que’ secondi altri succedettero devastatori egualmente delle stesse già devastate terre, i quali carichi pur di bottino dal munificentissimo Principe traevano ancora la mercede delle loro incursioni. E per dir tutto in poco, niun tempo essi frapposero tra l’una e l’altra incursione, e tra l’uno e l’altro devastamento, queste cose succedendosi con perenne giro. Imperciocchè molti essendo i capi de’ Barbari, e molti i luoghi, ne’ quali all’intorno stanziavano, la guerra era fatta loro ordinaria faccenda per le smoderate largizioni appunto dell’Imperadore incominciata, e tale poi divenuta da non avere mai fine, poichè sempre si tornava da capo. Così a quel tempo non vi fu paese de’ Romani, non monte, non caverna, salvi da saccheggiamento; e a molte provincie toccò d’essere fino a cinque volte, ed anche più devastate.
Siffatti mali da costoro recati, e dai Persiani, dai Saraceni, dagli Sclavi, e da altri Barbari, io narrai ne’ libri antecedenti; nè ad altra cagione possono tutti riferirsi, che a quella, che ho qui notata. Gran denaro spese per istabilire la pace con Cosroe; poi ostinatamente seguendo il suo capriccio, senza alcun motivo ruppe il trattato, con ogni genere d’intrighi, e di