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per essergli sembrato di vedere in sogno uno, che per l’altezza, e l’aspetto della persona avea alcunchè di più prestante dell’uomo, il quale gli ordinò che facesse mettere in libertà quello, che il dì innanzi avea fatto carcerare. Risvegliato egli non fece gran caso di ciò che veduto avea sognando. Nella notte susseguente, dormendo ancora, vide ed udì le stesse cose; e parimenti le trascurò. Ma nella terza da quella stessa figura con atroci minacce gli fu replicato l’ordine: chè di costui, e de’ suoi parenti, disse essa, io avrò bisogno, quando fia che salga in ira. E questa fu la ragione, per la quale Giustino scampò dalla morte.

Coll’andare del tempo Giustino salì a gran potenza, fatto prefetto de’ soldati pretoriani dall’imperadore Anastasio: morto il quale, coll’appoggio di quella prefettura ebbe l’Imperio, quantunque vecchio senza un capello, e quello che presso i Romani non erasi dianzi veduto, così ignorante di lettere, e come dicesi analfabeto, che mentre l’Imperadore suole scrivere le sole iniziali del suo nome sulle carte, quando comanda quello che dee farsi, egli nè comandare, nè comprender sapea ciò che fosse da comandare, o da fare: perciò lasciava che Proclo, il quale l’officio esercitava del questore, e gli sedeva accanto, facesse tutto siccome piacevagli. Ma perchè alcun segno della mano dell’Imperatore potesse sussistere, il magistrato, a cui spettava quest’officio, immaginò il seguente ripiego. Fece incidere sopra una tavoletta di legno ben liscia la forma di quattro lettere, che potessero leggersi latinamente, e quella sovrapposta alla carta che volevasi firmata dall’Imperadore, a