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della ingratitudine. 423

Come in Africa ancor le insegne misse
     Prima Siface, e dipoi d’Anniballe
     90E la fortuna, e la sua patria afflisse.
Allor gli diè il gran barbaro le spalle;
     Allora il Roman sangue vendicò,
     93Sparso da quel per l’Italiche valle.
Di quivi in Asia col fratello andò,
     Dove per sua prudenzia, e sua bontà
     96D’Asia il trionfo a Roma riportò.
E tutte le provincie, e le Città,
     Dovunque e’ fu, lasciò piene d’esempi
     99Di pietà, di fortezza e castità.
Qual lingua fia, che tante laudi adempi?
     Qual occhio, che contempli tanta luce?
     102O felici Roman! felici tempi!
Da questo invitto, e glorioso duce
     Fu a ciascun dimostro quella via,
     105Ch’alla più alta gloria l’uomo conduce.
Nè mai negli uman cuor fu visto, o fia,
     Quantunque degni, gloriosi, e divi,
     108Tanto valore e tanta cortesia;
E tra que’ che son morti, e che son vivi,
     E tra le antiche, e le moderne genti,
     111Non si trova uom, che a Scipione arrivi.
Non però invidia di mostrargli i denti
     Temè della sua rabbia, e riguardarlo
     114Con le pupille de’ suoi occhi ardenti.
Costei fece nel popolo accusarlo,
     E volle un infinito benefizio
     117Con infinita ingiuria accompagnarlo.
Ma poichè vide questo comun vizio
     Armato contro a se, volse costui
     120Volontario lassar lo ’ngrato ospizio;