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DELL’ASINO D’ORO | 403 |
CAPITOLO SETTIMO.
NOi eravam col piè già ’n su la soglia
Di quella porta, e di passar là drento
3M’avea fatto venir la donna voglia.
E di quel mio voler restai contento,
Perchè la porta subito s’aperse,
6E dimostronne il serrato convento.
E perchè me’ quel potesse vederse,
Il lume, ch’ella avea sotto la vesta
9Chiuso, nell’entrar là tutto scoperse.
Alla qual luce sì lucida, e presta,
Com’egli avvien nel veder cosa nuova,
12Più che duemila bestie alzar la testa.
Or guarda ben, se di veder ti giova,
Disse la donna, il copioso drappello,
15Che insieme in questo loco si ritrova.
Nè ti paja fatica a veder quello,
Chè non son tutti terrestri animali;
18Ben c’è tra tante bestie qualche uccello.
Io levai gli occhi, e vidi tanti, e tali
Animai bruti, ch’io non crederei
21Poter mai dir quanti fossero, e quali;
E perchè a dirlo tedioso sarei,
Narrerò di qualcun, la cui presenza
24Diede più maraviglia a gli occhi miei.
Vidi un gatto per troppa pazienza
Perder la preda, e restarne scornato,
27Benchè prudente, e di buona semenza.
Poi vidi un drago tutto travagliato
Voltarsi, senza aver mai posa alcuna,
30Ora sul destro, ora su l’altro lato.