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396 DELL’ASINO D’ORO.

Onde avvien, che l’un sorge, e l’altro muore;
     E quel ch’è surto, sempremai si strugge
     45Per nuova ambizione, o per timore.
Questo appetito gli Stati distrugge;
     E tanto è più mirabil, che ciascuno
     48Conosce questo error, nessun lo fugge.
San Marco impetuoso, ed importuno,
     Credendosi aver sempre il vento in poppa,
     51Non si curò di rovinare ognuno;
Nè vide come la potenza troppa
     Era nociva: e come il me’ sarebbe
     54Tener sott’acqua la coda, e la groppa.
Spesso uno ha pianto lo Stato ch’egli ebbe;
     E dopo il fatto poi s’accorge, come
     57A sua rovina, ed a suo danno crebbe.
Atene, e Sparta, di cui sì gran nome
     Fu già nel mondo, allor sol rovinorno
     60Quand’ebber le potenze intorno dome.
Ma di Lamagna nel presente giorno
     Ciascheduna città vive sicura,
     63Per aver manco di sei miglia intorno.
A la nostra città non fe paura
     Arrigo già con tutta la sua possa,
     66Quando i confini avea presso alle mura;
Ed or ch’ella ha sua potenza promossa
     Intorno, e diventata è grande, e vasta,
     69Teme ogni cosa, non che gente grossa.
Perchè quella virtute, che soprasta
     Un corpo a sostener quand’egli è solo,
     72A regger poi maggior peso non basta.
Chi vuol toccare l’uno, e l’altro polo,
     Si trova rovinato in sul terreno;
     75Com’Icar già dopo suo folle volo.