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394 | DELL’ASINO D’ORO. |
E come poi le sue membra toccai,
Un dolce sì soave al cor mi venne,
126Qual io non credo più gustar giammai.
Non in un loco la man si ritenne,
Ma discorrendo per le membra sue,
129La smarrita virtù tosto rivenne.
E non essendo già timido piue,
Dopo un dolce sospir parlando dissi:
132Sian benedette le bellezze tue;
Sia benedetta l’ora, quando io missi
Il piè nella foresta, e se mai cose,
135Che ti fossero a cuor, feci, nè scrissi.
E pien di gesti, e parole amorose,
Rinvolto in quelle angeliche bellezze,
138Che scordar mi facean le umane cose,
Intorno al cor sentii tante allegrezze
Con tanto dolce, ch’io mi venni meno,
141Gustando il fin di tutte le dolcezze,
Tutto prostrato sopra il dolce seno.
CAPITOLO QUINTO.
VEniva già la fredda notte manco,
Fuggivansi le stelle ad una ad una,
3E d’ogni parte il Ciel si facea bianco;
Cedeva al Sole il lume della Luna,
Quando la donna mia disse: E’ bisogna,
6Poichè egli è tale il voler di fortuna,
S’io non voglio acquistar qualche vergogna,
Tornar alla mia mandra, e menar quella
9Dove prender l’usato cibo agogna.