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384 DELL’ASINO D’ORO.

Ma perchè tu non puoi aver intesi
     I casi nostri, io ti dirò, in che lato
     99Ruinato tu sia, o in che paesi.
Quando convenne, nel tempo passato
     A Circe abbandonar l’antico nido,
     102Prima che Giove prendesse lo Stato;
Non ritrovando alcuno albergo fido;
     Nè gente alcuna, che la ricevesse,
     105(Tant’era grande di sua infamia il grido!)
In queste oscure selve ombrose, e spesse,
     Fuggendo ogni consorzio umano, elegge
     108Suo domicilio, e la sua sedia messe.
Tra queste adunque solitarie schiegge
     Agli uomini nimica si dimora,
     111Nodrita da’ sospir di questa gregge.
E perchè mai alcun non escì fuora,
     Che quì venisse, però mai novelle
     114Di lei si sepper, nè si sanno ancora,
Sono al servizio suo molte donzelle,
     Con le quai solo il suo regno governa,
     117Ed io sono una del numer di quelle.
A me è dato per faccenda eterna,
     Che meco questa mandria a pascer venga
     120Per questi boschi, e ogni lor caverna.
Però convien che questo lume tenga,
     E questo corno: l’uno, e l’altro è buono,
     123Se avvien che il giorno, ed io sia fuor, si spenga.
L’un mi scorge il cammin, con l’altro ’l suono,
     Se alcuna bestia nel bosco profondo
     126Fosse smarrita, sappia dove io sono,
E se mi domandassi, io ti rispondo:
     Sappi, che queste bestie, che tu vedi,
     129Uomini, come te, furon nel mondo.