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380 DELL’ASINO D’ORO.

Perchè la mente nostra, sempre intesa
     Dietro al suo natural, non ci consente
     90Contr’abito, o natura sua difesa.
Ed io, avendo già volta la mente
     A morder questo, e quello, un tempo stetti
     93Assai quieto, umano, e paziente,
Non osservando più gli altrui difetti,
     Cercando in altro modo fare acquisto;
     96Tal che d’esser guarito io mi credetti.
Ma questo tempo dispettoso, e tristo
     Fa, senza ch’alcuno abbia gli occhi d’Argo,
     99Più tosto il mal, che il bene ha sempre visto.
Onde se alquanto or di veleno spargo,
     Bench’io mi sia divezzo di dir male,
     102Mi sforza il tempo di materia largo,
E l’Asin nostro, che per tante scale
     Di questo nostro mondo ha mossi i passi,
     105Per l’ingegno veder d’ogni mortale,
Se bene in ogni luogo s’osservassi
     Per le sue strade i suoi lunghi cammini,
     108Non lo terrebbe il ciel che non ragghiassi.
Dunque non fie verun, che s’avvicini
     A questa rozza, e capitosa gregge,
     111Per non sentir degli scherzi Asinini:
Che ognun ben sa, ch’è sua natura legge,
     Che un de’ più destri giochi, che far sappi,
     114È trarre un pajo di calci, e di corregge;
E ognuno a suo modo ciarli, e frappi,
     Ed abbia quanto voglia e fumo, e fasto,
     117Che omai convien, che questo Asin ci cappi.
E sentirassi come il mondo è guasto;
     Perch’io vorrò, che tutto un vel dipinga;
     120Avanti che si mangi il freno, e il basto;
E chi lo vuol aver per mal, si scinga.