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VI.
A FRANCESCO VETTORI IN ROMA.
IO nel mezzo di tutte le mia felicità non ebbi mai cosa che mi dilettassi tanto quanto e ragionamenti vostri, perchè da quelli sempre imparavo qualche cosa; pensate adunque, trovandomi ora discosto da ogni altro bene, quanto mi sia stata grata la lettera vostra, alla quale non manca altro che la vostra presenzia et il suono della viva voce; e mentre la ho letta, che la ho letta più volte, ho sempre sdimenticato le infelici condizioni mia, e parmi essere ritornato in quelli maneggi, dove io ho invano tante fatiche durate e speso tanto tempo. E benchè io sia votato non pensare più a cose di stato nè ragionarne, come ne fa fede l’essere io venuto in villa, et avere fuggito la conversazione, nondimanco, per rispondere alle domande vostre, io sono forzato rompere ogni voto, perchè io credo essere più obbligato alla antica amicizia tengo con voi, che ad alcuno altro obbligo io avessi fatto ad alcuna persona; massime facendomi voi tanto onore, quanto nel fine di questa lettera mi fate, che, a dirvi la verità, io ne ho preso un poco di vanagloria, sendo vero quod non parum sit laudari a laudato viro. Dubito bene che le cose mie non vi abbino a parere dell’antico sapore, del che voglio mi scusi lo avere col pensiero in tutto queste pratiche abbandonate, et appresso non ne intendere delle cose che corrono alcuno particolare. E voi sapete come le cose si possono bene indicare al buio, e massime queste; pure ciò che io vi dirò sarà o fondato sopra ’l fondamento del discorso vostro, o in su’ presupposti miei, e quali se fieno falsi voglio me ne scusi la preallegata cagione.