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dipoi soggiunse, e a questo lui voleva capitare che voleva dare all’Egizio un’altra ferita e grande, e disse che Iddio gli aveva deto, che egli era uno in Firenze, che cercava di farsi tyranno, e teneva pratiche e modi perchè gli riescisse, e che voleva cacciare il frate, scomunicare il frate, perseguitare il frate, non voleva dire altro se non che voler fare un tiranno; e che si osservassino le leggi. E tanto ne disse, che gli uomini poi il dì fecero pubblicamente conietura di uno, che è tanto presso al tiranno, quanto voi al Cielo. Ma avendo dipoi la Signoria scritto in suo favore al papa, e veggiendo non gli bisognava temere più degli adversarii suoi in Firenze, dove prima lui cercava d’unire sola la parte sua col deextare gli adversarii e sbigottirgli col nome del tyranno, hora, poi che vede non gli bisognare più, ha mutato mantello, e quegli all’unione principiata confortando, nè di tyranno, nè di loro scelerateze più mentione faccendo, d’innaglienirgli tucti contro al sommo pontefice cerca, e verso lui e’ suoi morsi rivoltati, quello ne dice che di quale vi vogliate sceleratissimo huomo dire si puote; e cosa, secondo el mio iudicio, viene secondando e tempi, e le sua bugie colorendo. Ora quello che per vulgo si dica, quello che gli huomini ne sperino o temino, ad voi, che prudente see, lo lascierò giudicare, perchè meglio di me giudicare lo potee, con ciò sia cosa che voi gli humori nostri, e la qualità de’ tempi, e, per essere costì, lo animo del pontefice appieno conoschiate. Solo di questo vi prego: che se non vi è paruto faticha leggere queste mie letere, non vi paia anche faticha el rispondermi che iudicio di tale dispositione di tempi e d’animi circa alle cose nostre facciate. Valee.
Dabam Florentiae die 8. Martii 1497.
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