delle minute Repubbliche, o la sicurezza de’ piccoli Sovrani. Questi occupati sempre in sostentare una esistenza pericolante, trattavano gli altri come si vedevano loro stessi trattati; s’insidiavano a vicenda, e i tradimenti, le frodi, le superchierie, gli assassinamenti, le violenze, non costavano altro che la fatica e il pensiero di fargli riescire. Mai non ebbe
l’Italia nel suo grembo maggior numero di Repubbliche, nè mai fu tanto nemica della sua libertà. Divise queste fra di loro d’interessi e di mire, invece di sostenerli per mezzo dell’unione contro i prepotenti, godevano reciprocamente dell’altrui abbassamento, e prestavano la mano alla vicendevole rovina. Nell’interno di esse non amor di patria, non
soggezione alle leggi, ma l’amor delle parti, le sette, e la licenza dominavano. Ogni cittadino considerava se stesso come un essere isolato, ed il suo proprio interesse come il centro di tutte le pubbliche e private operazioni. Quindi sciolto il vincolo della società, che è la mira al ben comune, tutto si faceva o in sodisfazione di qualche ambizioso, che ambiva o esercitava la tirannia, o per privata passione ed interesse.
Tutto corrispondeva a un sistema così rovinoso, e a una depravazione
cosi dichiarata degli elementarj principj di governo. Le armi che debbono nascere ed essere sostenute dalle buone leggi, delle quali sono reciprocamente il sostegno, erano tanto vili, quanto infedeli invalide in faccia al nemico, formidabili a quelli che le pagavano, e che invece di difendere i popoli e gli Stati, gli assassinavano e gli tradivano. Questi sconcerti erano una conseguenza necessaria del sistema militare di quel tempo. La milizia, istromento privativamente appartenente alla Sovranità, divenuta una professione affatto mercenaria e privata, si esercitava per mestiero, o per