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sero mai da lui, che l’avesse visto. Talchè passati più innanzi, avendolo invano quel dì e quell’altro cerco, stracchi se ne tornarono a Firenze. Gio. Matteo adunque cessato il rumore, e trattolo del luogo, dov’era, lo richiese della fede data. Al quale, Roderigo disse: Fratel mio, io ho con teco un grande obbligo e lo voglio in ogni modo soddisfare; et perchè tu creda che io possa farlo, ti dirò chi io sono. E quivi gli narrò di suo essere e delle leggi avute all’uscire d’Inferno, e della moglie tolta; e di più gli disse il modo, col quale lo voleva arrichire, che insomma sarebbe questo, che come si sentiva che alcuna donna fusse spiritata, credesse, lui essere quello che gli fosse addosso; nè mai se n’uscirebbe, s’egli non venisse a trarnelo; donde arebbe occasione di farsi a suo modo pagare da’ parenti di quella: e rimasi in questa conclusione sparì via. Nè passarono molti giorni, che si sparse per tutta Firenze, come una figliuola di messer Ambrogio Amidei, la quale aveva maritata a Bonajuto Tebalducci, era indemoniata. Nè mancarono i parenti di farvi di quelli rimedj, che in simili accidenti si fanno, ponendole in capo la testa di S. Zanobi, e il mantello di S. Gio. Gualberto, le quali cose tutte da Roderigo erano uccellate. E per chiarir ciascuno, come il male della fanciulla era uno spirito et non altra fantastica immaginazione, parlava Latino, e disputava delle cose di Filosophia, e scopriva i peccati di molti; tra i quali scoperse quelli d’uno frate che si haveva tenuta una femmina vestita ad uso di Fraticino più di quattro anni nella sua cella; le quali cose facevano maravigliare ciascuno. Viveva pertanto Mess. Ambrogio mal contento, et aveva perduta ogni speranza di guarirla; quando Gio. Matteo venne a trovarlo, e gli promise la salute de la sua figliuola, quando gli voglia donare cinquecento fiorini per comperare un podere a Peretola. Accettò Mess. Ambrogio il partito, dove Gio. Matteo, fatte prima dire