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mana, tenevano quelli eserciti il nome, l’autorità e la dignità Romana; e tu che hai messo ne’ tuoi scritti venti legioni di vocaboli Fiorentini, e usi i casi, i tempi, e i modi, e le desinenze Fiorentine, vuoi che li vocaboli avventizj facciano mutar la lingua? E se tu la chiamassi comune d’Italia, o Cortigiana, perchè in quella si usassino tutti li verbi che s’usano in Firenze, ti rispondo, che se si sono usati li medesimi verbi, non s’usano i medesimi termini, perchè si variono tanto colla pronunzia, che diventano un’altra cosa; perchè tu sai che i forestieri o e’ pervertano il c in z, come di sopra si disse di cianciare e zanzare, o eglino aggiungano lettere, come vien quà, vegni za, o e’ ne lievano, come poltrone, poltron. Talmentechè quelli vocaboli che son simili a’ nostri, gli storpiano in modo che gli fanno diventare un’altra cosa; e se tu mi allegassi il parlar Curiale, ti rispondo, se tu parli delle Corti di Milano o di Napoli, che tutte tengono del luogo della patria loro, e quelli hanno più di buono che più s’accostano al Toscano, e più l’imitano; e se tu vuoi, che e’ sia migliore l’imitatore, che l’imitato, tu vuoi quello che il più delle volte non è, ma se tu parli della Corte di Roma, tu parli d’un luogo, dove si parla di tanti modi, di quante nazioni vi sono, nè se gli può dare in modo alcuno regola. Ma quello che inganna molti circa i vocaboli comuni è, che tu e gli altri che hanno scritto, essendo stati celebrati, e letti in varj luoghi, molti vocaboli nostri sono stati imparati da molti forestieri, e osservati da loro, talchè di proprii nostri son diventati comuni. E se tu vuoi conoscer questo, arrecati innanzi un libro composto da quelli forestieri, che hanno scritto dopo voi, e vedrai quanti vocaboli egli usano de’ vostri, e come e’ cercano d’imitarvi: e per aver riprova di questo fa loro leggere libri composti dagli uomini loro avanti che nasceste voi, e si vedrà che in quelli non fia nè vocabolo nè termine; e così apparirà che la lingua in che essi