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che lo Stato non può prosperare senza che tutti i membri cospirino nel fine principale della Società; ed ecco sorgere l’amore della patria e dello Stato, che è il principio grande, il principio produttivo, il quale dilatando la sua energia in ragione della sua intensità, ed estendendosi a fecondare tutti i rami dall’albero politico, produrrà l’obbedienza alle leggi, lo zelo per l’osservanza delle medesime, l’austerità ne’ costumi, la temperanza nel bene, la sofferenza nel male, l’intrepidezza ne’ pericoli, il sacrifizio de’ particolari interessi, la retta educazione, tutte in somma le virtù, che rendono una nazione potente, moderata, leale, rispettata, e felice. Sarebbe superfluo il fermarsi a calcolare la forza di questo gran mobile. Un occhiata che si getti da una parte sui secolo di Cammillo, di Fabrizio, di Cincinnato, di Regolo; dall’altra su’ tempi delle irruzioni de’ Goti, degli Unni, de’ Vandali, e de’ Longobardi, ne risulterà una prova di fatto irrefragabile e decisiva, superiormente a qualunque raziocinio. Come mai uomini nati sotto un medesimo clima, sono in un tempo virtuosi fino al prodigio, in un altro vili e dispregevoli sino alla maraviglia? Niuna causa fisica ha potuto produrre sì enorme differenza in un medesimo popolo. La degradazione dunque, e l’avvilimento, nel quale si è veduto precipitare, dopo aver toccato il più sublime punto della gloria, è un effetto visibile della mala disposizione morale del suo corpo politico. Estintosi lo spirito di questo corpo per la dissoluzione de’ vincoli reciprochi della patria co’ cittadini, e de’ cittadini colla patria, si è esso illanguidito, e tutte le membra si sono adulterate e corrotte. È questo per altro il destino di tutte le nazioni. L’esperienza, si può dire, di cinquanta secoli, toglie ogni speranza che uno Stato o una