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ce amare, stare e leggere, ma ciascuno di loro non dice già deschetto, tavola e guastada. Intra i pronomi quelli che importano più, sono variati, siccome è mi, in vece di io, e ti per tu. Quello che fa ancora differenti le lingue, ma non tanto ch’elle non s’intendano, sono la pronunzia, e gli accenti. Li Toscani fermano tutte le loro parole in sulle vocali, ma li Lombardi e li Romagnuoli quasi tutte le sospendono sulle consonanti, come è Pane, Pan. Considerate adunque tutte queste, ed altre differenze che sono in questa lingua Italica, a voler vedere quale di queste tenga la penna in mano, ed in quale abbiano scritto gli scrittori antichi, è prima necessario vedere, donde Dante, e gli primi scrittori furono, e se essi scrissono nella lingua patria, o se non vi scrissero; dipoi arrecarsi innanzi i loro scritti, ed appresso, qualche scrittura mera Fiorentina o Lombarda, o d’altra provincia d’Italia, dove non sia arte, ma tutta natura; e quella che fia più conforme alli scritti loro, quella si potrà chiamare, credo, quella lingua, nella quale essi abbiano scritto. Donde quelli primi scrittori fossino, eccettochè un Bolognese1, un Aretino2 e un Pistolese3, i quali tutti non aggiunsono a dieci canzoni, è cosa notissima come e’ furono Fiorentini; intra li quali Dante, il Petrarca, ed il Boccaccio tengono il primo luogo, e tanto alto, che alcuno non ispera più aggiungervi. Di questi, il Boccaccio4 afferma nel Centonovelle di scrivere in volgar Fiorentino; il Petrarca non so, che ne parli cosa alcuna; Dante in un suo libro ch’ei fa De Vulgari Eloquio, dove egli danna tutta la lingua particolar d’Italia, ed afferma5,

  1. Intende di Guido Guinizzelli
  2. Guitton d’Arezzo
  3. Cino da Pistoja, a oltre questi ci sono altri rimatori che non sonoFiorentini, ma sono di più oscura fama, e anhe mior pregio, e che hanno fatto poche cose rispetto a Dante, e al Petrarca, e al Boccaccio.
  4. Bocc. G. 4 n. 2 Il che assai manifesto può apparire a chi le presenti novellette riguarda, le quali non solamente in Fiorentino volgare, ed in prosa scritte per me sono, e senza titolo, ma ancora in istilo umilissimo, e rimesso quanto il più si possono.
  5. Dan. de Vulgar. Eloq. lib. i. cap. 16. 17. 18.