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acciocchè, in terra stropicciandosi, non si consumasse. Per offendere avevano cinta una spada in sul fianco sinistro lunga uno braccio e mezzo, in sul fianco destro uno stiletto. Avevano uno dardo in mano, il quale chiamavono pilo, e nello appiccare la zuffa lo lanciavano al nimico. Questa era la importanza delle armi Romane, con le quali eglino occuparono tutto il mondo. E benchè alcuni di questi antichi scrittori dieno loro, oltre alle predette armi, un’asta in mano in modo che uno spiede, io non so come un’asta grave si possa da chi tiene lo scudo adoperare; perchè, a maneggiarla con due mani, lo scudo lo impedisce, con una, non può fare cosa buona per la gravezza sua. Oltre a questo, combattere nelle frotte e negli ordini con l’arme in asta è inutile, eccetto che nella prima fronte dove si ha lo spazio libero a potere spiegare tutta l’asta; il che negli ordini dentro non si può fare, perchè la natura delle battaglie, come nello ordine di quelle vi dirò, è continuamente ristringersi; perchè si teme meno questo, ancora che sia inconveniente, che il rallargarsi, dove è il pericolo evidentissimo. Talchè tutte le armi che passano di lunghezza due braccia, nelle stretture sono inutili; perchè se voi avete l’asta e vogliate adoperarla a due mani, posto che lo scudo non vi noiasse, non potete offendere con quella uno nimico che vi sia addosso. Se voi la prendete con una mano, per servirvi dello scudo, non la potendo pigliare se non nel mezzo, vi avanza tanta asta dalla parte di dietro, che quelli che vi sono di dietro v’impediscono a maneggiarla. E che sia vero, o che i Romani non avessono queste aste, o che, avendole, se ne valessono poco, leggete tutte le giornate nella sua istoria da Tito Livio celebrate, e vedrete, in quelle radissime volte essere fatta menzione delle aste; anzi sempre dice che, lanciati i pili, ei mettevano mano alla spada. Però io voglio lasciare queste aste, ed attenermi, quanto a’ Romani, alla spada per offesa, e per difesa allo scudo con l’altre