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188 | dell'arte della guerra |
di qualunque cosa, da’ miei Romani. Se si considerasse la vita di quel’li e l’ordine di quella Repubblica, si vedrebbero molte cose in essa non impossibili ad introdurre in una civilità, dove fusse qualche cosa ancora del buono.
Cosimo. Quali cose sono quelle, che voi vorreste introdurre simili all’antiche?
Fabrizio. Onorare e premiare le virtù, non dispregiare la povertà, stimare i modi e gli ordini della disciplina militare, costringere i cittadini ad amare l’uno l’altro, a vivere senza sette, a stimare meno il privato che il pubblico, ed altre simili cose che facilmente si potrebbono con questi tempi accompagnare. I quali modi non sono difficili a persuadere, quando vi si pensa assai ed entrasi per li debiti mezzi; perchè in essi appare tanto la verità, che ogni comunale ingegno ne puote essere capace. La quale cosa chi ordina, pianta arbori, sotto l’ombra de’ quali si dimora più felice e più lieto, che sotto questa.
Cosimo. Io non voglio replicare a quello che voi avete detto alcuna cosa, ma ne voglio lasciare dare giudicio a questi, i quali facilmente ne possono giudicare; e volgerò il mio parlare a voi, che siete accusatore di coloro, che nelle gravi e grandi azioni non sono degli antichi imitatori, pensando per questa via più facilmente essere nella mia intenzione soddisfatto. Vorrei pertanto sapere da voi donde nasce, che dall’un canto voi danniate quelli, che nelle azioni loro gli antichi non somigliano, dall’altro nella guerra, la quale è l’arte vostra, ed in quella che voi siete giudicato eccellente, non si vede che voi abbiate usato alcuno termine antico, o che a quelli alcuna similitudine renda.
Fabrizio. Voi siete capitato appunto dove io vi aspettava, perchè il parlare mio non meritava altra domanda, nè io altra ne desiderava. E benchè io mi potessi salvare con una facile