zate insieme fanno quella loro potenza tornare piccola, e poco utile all’Imperadore. E perchè i Veneziani per lo commercio, ch’egli hanno co’ mercanti delle comunità della Magna, l’hanno intesa meglio che verun altro d’Italia, si fono meglio opposti; perchè s’egli avessino temuta questa potenza, e non se gli sarebbono opposti, e quando pure e’ se gli fossino opposti, s’eglino avessino creduto che si potessino unire insieme, e’ non l’avrebbon mai ferito; ma perchè e’ pareva lor conoscere questa impossibilità, fono stati sì gagliardi come si è visto. Non ostante quali tutti quegl’Italiani, che sono nella corte dell’Imperadore, da’ quali io ho sentito discorrere le sopraddette cose, rimangono appiccati in fu quella speranza, che la Magna si abbia a riunire adesso, e l’Imperadore gettarsele in grembo, e tenere ora quell’ordine di capitani, e delle genti, che si ragionò anno nella Dieta di Coftanza, e che l’Imperadore ora cederà per necessità, e loro lo faranno volentieri, per riavere l’onore dell’Imperio, e la triegua non darà loro noja, come fatta dall’Imperadore, e non da loro. Al che risponde alcuno non ci prestar molta fede ch’egli abbi ad essere, perchè si vede tutto il giorno, che le cose che appartengono in una città a molti sono trascurate, tanto più debbe intervenire in una provincia; dipoi le comunità fanno, che l’acquisto d’Italia sarebbe pe’ Principi, e non per loro, potendo quelli venire a godere personalmente li passi d’Italia, e non loro; e dove il premio abbia ad essere ineguale, gli uomini mal volontieri egualmente spendono; e così rimane questa opinione indecisa senza potere risolversi a quello abbia ad essere. E questo è ciò che io ho inteso della Magna. Circa all’altre cose di quello, che potesse esser di pace, e di guerre tra quelli Principi, io ne ho sentito dire cose assai, che per esser tutte fondate in su congetture, di che se ne ha quì più vera notizia, e miglior giudizio, le lascerò indietro. Valete.