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lei e il regno, o essere morto da quello come stupratore della sua moglie, consentì Almelchilde di ammazzare Alboino. Ma, di poi che eglino ebbono morto quello, veggendo come non riusciva loro di occupare il regno, anzi dubitando di non essere morti da’ Longobardi per lo amore che ad Alboino portavano, con tutto il tesoro regio se ne fuggirono a Ravenna, a Longino, il quale onorevolmente gli ricevette. Era morto, in questi travagli, Iustino imperadore, e in suo luogo rifatto Tiberio, il quale, occupato nelle guerre de’ Parti, non poteva alla Italia suvvenire; onde che a Longino parve il tempo commodo a potere diventare, mediante Rosismunda e il suo tesoro, re de’ Longobardi e di tutta Italia; e conferì con lei questo suo disegno e le persuase ad ammazzare Elmelchilde e pigliare lui per marito. Il che fu da quella accettato; e ordinò una coppa di vino avvelenato, la quale di sua mano porse ad Elmelchilde, che assetato usciva del bagno. Il quale, come la ebbe beuta mezza, sentendosi commuovere le interiori, e accorgendosi di quello che era, sforzò Rosismunda a bere il resto; e così, in poche ore, l’uno e l’altro di loro morirono, e Longino si privò di speranza di diventare re. I Longobardi intanto, ragunatisi in Pavia, la quale avevano fatta principale sedia del loro regno, feciono Clefi loro re; il quale riedificò Imola, stata rovinata da Narsete, occupò Rimino e, infino a Roma, quasi ogni luogo; ma nel corso delle sue vittorie morì. Questo Clefi fu in modo crudele, non solo contro agli esterni, ma ancora contro ai suoi Longobardi, che quegli, sbigottiti della potestà regia, non vollono rifare più re; ma feciono intra loro trenta duchi, che governassero gli altri. Il quale consiglio fu cagione che i Longobardi non occupassero mai tutta Italia, e che il regno loro non passasse Benevento, e che Roma, Ravenna, Cremona, Mantova, Padova, Monselice, Parma, Bologna, Faenza, Furlì, Cesena, parte si difendessero un tempo, parte non fussero mai da loro