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bra della Casa Sua a governare, si mantenne divisa. E perchè dalla V.S. Beatitudine mi fu imposto particolarmente e comandato che io scrivessi in modo le cose fatte dai suoi Maggiori, che si vedesse che io fussi da ogni adulazione discosto; perchè quanto le piace di udire degli uomini le vere lodi, tanto le finte e con grazia descritte le dispiacciono; dubito assai nel descrivere la bontà di Giovanni, la sapienzia di Cosimo, la umanità di Piero e la magnificenzia e prudenza di Lorenzo, che non paja alla V.S. che abbia trapassati i comandamenti Suoi. Di che io mi scuso a quella e a qualunque simili descrizioni come poco fedeli dispiacessero. Perchè trovando io delle loro lode piene le memorie di coloro che in varii tempi le hanno descritte, mi conveniva, o quali io le trovavo descriverle, o come invido tacerle. E se sotto a quelle loro egregie opere era nascosa una ambizione alla utilità comune, come alcuni dicono, contraria, io che non ve la conosco non sono tenuto a scriverla; perchè in tutte le mie narrazioni io non ho mai voluto una disonesta opera con una onesta cagione ricoprire, nè una lodevole opera, come fatta a uno contrario fine, oscurare. Ma quanto io sia discosto dalle adulazioni si cognosce in tutte le parti della mia istoria, e massimamente nelle concioni e ne’ ragionamenti privati, così retti come obliqui, i quali, con le sentenze e con l’ordine, il decoro dello umore di quella persona che parla, sanza alcuno riservo, mantengono. Fuggo bene, in tutti i luoghi, i vocaboli odiosi come alla dignità e verità della istoria poco necessari. Non puote adunque alcuno che rettamente consideri gli scritti miei come adulatore riprendermi, massimamente veggendo come della memoria del padre di V.S. io non ne ho parlato molto; di che ne fu cagione la sua breve