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Libro secondo, Ode XX. 99


Te, d’aureo corno famoso, Cerbero
    Innocuo vide, lene adulandoti;
        E al partire, i piedi e le gambe
        32Ti lambía con la bocca trilingue.


XX.


Con inusata penna e non tenue
    Vate biforme sorgo al chiaro ètera,
        Nè più su la terra mi attardo;
        4E all’invidia già fatto maggiore

Le città lascio. Non io, di poveri
    Sangue, non io cui tu «carissimo»
        Appelli, o Mecena, andrò a morte,
        8Entro all’onda di Stige sommerso.

[Già già alle gambe le pelli stringonsi
    Aspre; già sopra mi cangio in candido
        Augello; a le dita, a le spalle
        12Ecco, spuntan leggiere le piume.]