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Atto primo 357

L’affanno mio le tue montagne? E al cielo:
Visto non m’ha l’onniveggente sole?
E chiedo al mar, che procelloso o cheto
Sotto al cielo si spiega e il ciel riflette:
I mutevoli tuoi flutti profondi
L’agonia del mio cor non hanno udito?
Ahimè, sempre dolore, eternamente
Dolore! Mi trafiggono i ghiacciaj
Lubrici con le mille acute punte
Dei lor cristalli d’un rigor lunare;
Le lucide catene entro alle mie
Ossa, rigide ardendo, edaci affondansi;
Un alato del ciel cane, col sozzo
Rostro il velen fra le tue labbra attinto,
Mi dilania le visceri. Dall’atro
Regno sbucan gli spettri, e in mostruose
Forme ai miei lati sbeffeggiando affoltansi;
Del terremoto i dèmoni, spaccando
E serrando le rocce a me dintorno.
Storcono i chiodi ond’io son fitto, e squarciano
Le mie ferite palpitanti; i genj
Della tempesta dagli abissi irrompono,
Dei turbini il furore urlando aizzano,
E mi flagellan con l’acuta grandine.
Pur gradito m’è il dì, cara la notte,
Sia che l’un rompa del mattin le brine.