Pagina:Opere di Mario Rapisardi 5.djvu/356

356 Il Prometeo liberato

Ed abietti a sè stessi anco li rendi.
E a me che sono il tuo nemico (a tale
Cieco l’odio ti fa!) vittoria e regno
Concedi intanto, per maggior tuo scorno,
Sopra i dolori miei, sopra la tua
Inutile vendetta. Oh sí, tremila
Anni di vigilate ore, d’istanti
Noverati cosí da tormentose
Ambasce da sembrar secoli, immenso
Dolore e solitudine e dispregio
E disperazíon, tal è, non altro,
L’imperio mio, piú glorioso, e quanto!
Di quel che dal tuo trono alto rimiri,
E ch’io già non t’invidio, o Dio possente.
Onnipossente! E se la tua maligna
Tirannide partire io volea teco.
Ciò ch’ebbi a sdegno, ed alla tua vergogna
Partecipare, or inchiodato a questa
Rupe non penderei, che sfida il volo
Dell’aquile, ghiacciosa, atra, deserta,
Smisurata, di verde orba e d’insetti
E d’ogni forma e d’ogni suon di vita.
Ahimè, sempre dolore, eternamente
Dolor! Non tregua mai, non mutamento.
Nè speranza giammai! Tutto io pur soffro,
Tutto; e chiedo alla terra: Han mai sentito