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E al cor maggiore alla fortuna io miri!
Dacchè l’intesi favellar, con vostra
Pace, divini genitori, il dico,
Del mio potere ebbi dispetto; vuote
Restàr le coppe incantatrici, e sdegno
Provai non pur di quanti avean le ingorde
Fauci al maligno beveraggio aperte,
Ma dell’arte mia torva, onde sì vili
E sì vani al mio stato eran gli effetti.
Da quell’ora una brama il cor m’accese
Orgogliosa, il confesso, e però degna
Di me che nasco da cui tutto avviva:
Brama che cieca alimentai nel petto,
Finchè meco l’altero ospite visse,
E ch’or feroce al suo partir prorompe,
E di lui mi tien luogo. Oh! se immortali
Giorni e virtù di trasformar mi deste
Chi di pane si nutre, or fate, augusti
Parenti miei, che in meglio sempre io cangi
L’umana vita, e negli usati aspetti,
Quali ha costui che tramutommi il core,
Nobili sensi e virtù nova infonda!
Troppo d’insani mugolj turbate
Suonâr queste lucenti aule, che voi
M’edificaste e in cui tremata io vivo
Molto ad altrui, poco a me stessa in pregio;