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E dal palagio adamantino il Sole;
Ma non come già tempo ella esprimea
Dal niveo petto le squillanti voci:
Tutto intorno tacea, se non che il lene
Mormoreggiar de le badanti spume
Mesceasi al canto del vicin querceto,
D’ombre largo e di cibo all’insolente
Mandra, che intrisa del circèo veleno.
Dell’esser primo e del mutato aspetto
Poca memoria e nessun danno avea.
Tutto quanto fu il dì, con mesta cura
Mirò la dea l’avventurosa vela;
Nè l’acume divin pria le fu scemo,
Che tra ’l vapore vespertin, cresciuto
Dal fumo dell’istante Erebo, quasi
In grembo al suo destin, quella s’immerse.
Un insolito affanno allor più volte
Le scosse il cor già sempre uguale, e pianto
Forse ella avría, se da la sua pupilla
Era il velarsi d’una tal rugiada.
Pur la faccia marmorea al cielo eresse,
E al Sol che grande e nitido pendea
Sul mar già fatto d’ametista, in voce
Supplichevole: O Sol, disse, o veggente
Padre, e tu Perse, veneranda prole
Dell’Oceàn che tutto allaccia, oh s’io