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194 | dialoghi delle cortigiane. |
Pitia. Non dirglielo, o Violetta.
Violetta. Perchè non dirglielo? Era Pitia, o caro, chiamata da me per coricarci insieme, chè io mi struggevo a non averti vicino.
Lisia. Pitia così tonduta? E poi in sette giorni le son cresciuti tanti capelli?
Violetta. Per una malattia si è rasa, o Lisia, perchè le cadevano i capelli: ella ora ha la parrucca. Fagliela vedere, o Pitia, fagliela vedere per persuaderlo. Ecco chi era quel giovane, quel mio ganzo, di cui eri geloso.
Lisia. E non fu bene, o Violetta, fare una toccatina a questo tuo ganzo?
Violetta. Dunque ti se’ persuaso. Ma vuoi che vada in collera io ora? che mi sdegni con ragione anch’io?
Lisia. No, no: via, beviamo ora: e Pitia stia con noi: ella deve assistere alla pace.
Violetta. Ci sarà. Che m’hai fatto soffrire, o mio bel giovane Pitia!
Pitia. Ma io v’ho anche rappattumati: onde non me ne voler male. D’una cosa ti prego, o Lisia; de’ capelli, ve’, non parlarne a nessuno.
13.
Leontico, Chenida ed Innide.
Leontico. In quella battaglia contro i Galati, dillo tu, o Chenida, come io uscii innanzi a tutti cavalcando un cavallo bianco, e come i Galati, benchè gagliardi, tosto si scombuiarono al vedermi, e nessuno più tenne il fermo. Allora io mi scaglio contro il capitano della cavalleria, e con una lanciata trapasso fuor fuora lui e il cavallo: e contro alcuni rimasti ancora piantati (ed erano un pugno che, sciolta la falange, si mantenevano stretti ed annodati), contro costoro io, sfoderata la spada, e a tutta furia investendoli, ne rovescio quasi sette urtandoli col cavallo; e poi menando la spada, spaccai ad un caporale il capo in due con tutto il collo. Voi poi, o Chenida, poco appresso vi deste ad inseguire i fuggiaschi.