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188 dialoghi delle cortigiane.


Rugiadosa. No, ma Aristeneto; che pigli un malanno a lui e a tutti i filosofi.

Rondinella. Quel viso arcigno tu dici? quel gran barbone, che suole passeggiar co’ giovani nel Pecile.

Rugiadosa. Lui, quel chiacchierone! che lo possa veder morire di mala morte, lo possano trascinar per la barba.

Rondinella. E perchè ha messo in capo a Clinia queste cose?

Rugiadosa. Io nol so, o Rondinella. Egli che non è stato mai una notte senza dormire con me, dacchè ha conosciuto donne, e conobbe me prima, da tre giorni non si è neppure avvicinato al chiassuolo. Io stavo tanto mesta, e avevo il cuore tanto scuro; onde mandai la Nebrida a vedere se egli stesse in piazza o nel Pecile: ed ella mi riferì, come vedendolo passeggiar con Aristeneto, da lontano gli fece un cenno, ed egli arrossendo guardò a terra, e non levò più gli occhi. Traversarono insieme la città, ed ella dietro sino al Dipilo; ma vedendo che egli non si rivolgeva mai, se ne tornò non potendo dirmi niente di certo. Figurati a questo come io entrai tutta sossopra, non sapendo immaginare che avesse il ragazzo. S’è preso collera per qualche cosa? dicevo tra me: s’è innamorato di qualche altra, e ristuccato di me? Gliel’avesse vietato suo padre? Mi perdeva in mille pensieri. Ma iersera verso tardi venne Dromone, e mi portò questa lettera sua. To’, leggila, o Rondinella; chè tu sai leggere.

Rondinella. Dammi, vediamo: oh, è uno scarabocchio scritto proprio in fretta. Dice così: «Come io t’ho amata, o Rugiadosa, ne sono testimoni gli Dei.»

Rugiadosa. Ahi misera me! non comincia nemmeno col saluto.

Rondinella. «Ed ora non per odio, ma per necessità mi allontano da te. Mio padre mi ha affidato ad Aristeneto, per farmi apprendere filosofia: e questi che ha saputo di noi ogni cosa, mi ha molto sgridato, e m’ha detto che non conviene a me che son figliuolo di Architele e di Erasiclea vivere con una cortigiana: e che è molto meglio preferire la virtù alla voluttà.»

Rugiadosa. Lo colga un accidente! queste chiacchiere insegna al ragazzo!