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266 | sopra le immagini. |
avere anch’io questa opinione: e mi è avvenuto come quando vediamo un oggetto troppo da presso e sotto gli occhi, che noi non lo discerniamo bene, ma se l’allontaniamo a giusta distanza, ci comparisce tutto nelle sue parti buone e cattive. Paragonare una creatura umana a Giunone e a Venere, che altro è se non menomare quelle dee? In questo caso non tanto il piccolo ingrandisce col paragone, quanto il grande impiccolisce essendo sforzato ad abbassarsi. Così se camminassero insieme un uomo alto ed uno di bassa statura, e dovessero parere eguali, quest’uguaglianza non ci sarebbe mai ancorchè il bassetto si stendesse e camminasse su le punte dei piè; ma, se debbono parere eguali, è forza che l’alto si chini e paia basso. Allo stesso modo in cotesto immagini non tanto l’uomo si fa grande se è paragonato ad un Dio, quanto la divinità deve abbassarsi e piegarsi alla fralezza umana. Eppure se per manco di paragoni terrestri uno pigliasse i celesti, la necessità diminuirebbe il peccato: ma tu avendo tante belle donne, ardisti di paragonarla a Giunone e a Venere senza una necessità. Onde questo è troppo, e fa male, e toglilo, o Licino; perchè non è secondo tua natura, che una volta non eri tanto facile e corrivo a dar lodi, ed ora non so come m’esci fuor del manico, e d’avaro che n’eri, ne se’ diventato prodigo, e ne sborri tante. Nè ti vergognare di correggere lo scritto già pubblicato, che anche Fidia si dice aver fatto così quando lavorò il Giove per gli Elei. Stando dietro la porta, che egli apri quando la prima volta mostrò la sua opera, udiva la gente che riprendeva qualcosa o lodava: chi diceva il naso troppo grosso, chi la faccia alquanto lunga, e chi una cosa e chi un’altra. Poi che tutti furono partiti, Fidia si rinchiuse, e corresse e racconciò la statua secondo il parere della gente: perchè credeva non fosse da dispregiare il consiglio di tanto popolò, e che di necessità veggono meglio molti che uno, e sia anche un Fidia. Queste cose ti dico da parte di lei, e te ne prego anch’io, che ti sono amico e ti voglio bene.
Licino. Sei un orator sì valente, o Polistrato, ed io nol sapevo! Sì lunga diceria, e tale un’accusa hai sfoderata contro il mio scritto, che non m’hai lasciata neppure la speranza di difenderlo: ma una cosa avete fatta contro la legge, spe-