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XXXVIII.

LE IMMAGINI.1



Licino e Polistrato.

Licino. Così forse avveniva a quei che vedevan la Gorgone, come dianzi avveniva a me, o Polistrato, che vedevo una bellissima donna. Poco mancò, come dice la favola, che di uomo non ti divenni sasso, sì gelai dello stupore.

Polistrato. Oh! la dev’essere un nuovo miracolo di bellezza se una donna colpisce Licino: che piuttosto i garzoni fanno in te questo effetto; e saria più facile smuovere monte Sipilo, che spiccar te dai leggiadri donzelli, innanzi ai quali ti rimani a bocca aperta, con gli occhi fissi e spesso imbambolati, che pari proprio la figliuola di Tantalo.2 Ma dimmi, chi è cotesta Medusa che impietrisce? e di qual paese? che vorrei vederla anch’io. Non avrai invidia, credo, che io la vegga, nè t’ingelosirai se voglio anch’io gelare riguardandola da vicino.

Licino. Ed io ti so dire che se pur di lontano tu la vedessi, ti cadrebbe il fiato, e resteresti più immoto d’una statua. E forse non saria sì grave e sì mortale la ferita, se tu vedessi lei; ma se ella riguardasse te, come mai potresti più spiccarti da lei? T’allaccerebbe, ti tirerebbe dov’ella vuole, come la calamita il ferro.

Polistrato. Via, o Licino, non tante mirabilia di cotesta bellezza, e dimmi chi è la donna.

  1. Questo dialogo ed il seguente contengono lodi strabocchevoli e prosuntuose d’una donna di Smirne, detta Pantea, amica di Lucio Vero imperatore, o, come altri vuole, moglie di Avidio Cassio, capitano romano.
  2. Niobe figliuola di Tantalo, fu mutata nel Sipilo, monte presso Smirne, dal quale gemevano molte acque, che parvero le lagrime di Niobe.