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di una storia vera. | 119 |
niera; erano marinai e navi insieme; ed ora vi dico la maniera. Si mettono a giacere supini su l’acqua col coso ritto (e li hanno ben lunghi), al quale legano la vela, e con le mani tengono la scotta: il vento gonfia la vela, e navigano. Altri seduti sopra sugheri sferzavano due aggiogati delfini, che correndo tiravano i sugheri. Costoro non ci facevano alcun male, nè ci fuggivano, ma senza paura e quieti ci venivano vicino, facevano le maraviglie della nostra nave, e la riguardavano per ogni verso.
Sul calar della sera approdammo ad un’isoletta abitata da femmine, come credemmo, che parlavano greco: esse ci vennero incontro, ci salutarono, ci abbracciarono; erano vestite ed abbigliate come cortigiane, tutte belle e giovani, e trascinanti lunghe vesti per terra. L’isola chiamavasi la Cavallara, e la città Acquavittima.1 Le donne adunque ci presero, e ciascuna condusse uno di noi a casa sua e l’ospitò. Io andando un poco a rilento, perchè il cuore non mi presagiva bene, e guardando attentamente intorno, vedo molte ossa e teschi umani sparsi qua e là: avrei voluto gridare, chiamare i compagni, correre all’armi, ma mi tenni; e cavata la santa malva, fervorosamente me le raccomandai, che mi scampasse dai presenti pericoli. Ed ecco poco appresso, mentre la mia albergatrice s’affaccendava per la casa, le vidi non gambe di femmina ma unghie di asina. Sfodero la spada, l’afferro, la lego, le dimando: Dimmi, che è cotesto? Ella non voleva, ma pure infine parlò e disse che esse erano ninfe marine, chiamate Gambedasine, e mangiano i forestieri che quivi capitano. Li ubbriachiamo, soggiunse, ci corchiamo con essi, e mentre dormono li accoppiamo. All’udir questo, la lascio qui legata, salgo sul tetto, e con un grido chiamo i compagni: e venuti racconto il fatto, addito le ossa, e li conduco a quella legata, la quale subito diventò acqua, e sparì: ma io per una pruova messi la spada nell’acqua, che diventò sangue. Tornati in fretta alla nave, andammo via.
- ↑ Leggo Καβαλλοῦσα, da καβάλλης, caballus clitellarius; ed Ὑδαμαρτία, da ὕδωρ, aqua, ed ἁμαρτία, peccatum, ed anche victima pro peccato. Gl’interpreti ed annotatori ne dicono tante: taluni negano che sieno parole greche. A me pare che questi nomi sieno di stampo greco, e significhino qualche cosa che si accorda con ciò che si narra appresso.