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116 | di una storia vera. |
ora sono nell’isola dei Beati, pentito assai di aver lasciata la bella vita che menava con te, e l’immortalità che tu mi offerivi. Se dunque mi verrà fatto, fuggirommene e sarò da te.» Questo era il senso della lettera: diceva ancora due parole di raccomandazione per noi. Essendomi dilungato un po’ dal mare trovai la grotta della dea tale quale la descrive Omero, e lei che filava lana. Come ella prese la lettera e la lesse, pianse lungamente, poi c’invitò alla mensa ospitale, ci trattò lautamente, e ci dimandò di Ulisse e di Penelope, come ella era di volto, e se era casta, come Ulisse gliela vantava: e noi le rispondemmo cose che ci pareva le dovessero piacere. Dipoi ce ne tornammo alla nave, e lì vicino sul lido ci addormentammo: la mattina, messosi un buon vento, salpammo.
Per due giorni avemmo burrasca, il terzo scontrammo i Zucchepirati, uomini feroci, che dalle isole vicine assaltano e svaligiano chi naviga per quei mari. Hanno grandi navigli, che sono zucche lunghe sessanta cubiti. Quando sono secche le vuotano, ne cavano la midolla, e vi navigano armandole con alberi di canna e con vele fatte di foglie di zucche. Ci assaltano adunque con due di quelle loro fuste bene armate, ci combattono, feriscono molti scagliandoci, invece di pietre, grossi semi di zucche. Durava incerta la battaglia, quando verso mezzodì vediamo dietro i Zucchepirati venire a vele gonfie i Nocinauti, loro sfidati nemici, siccome poi si vide. Come quelli si accòrsero d’essere assaliti, lasciarono noi, e si rivolsero a combattere, e noi levata la vela fuggimmo, lasciandoli che s’accapigliavano tra loro. Parveci che il vantaggio l’avessero i Nocinauti, perchè avevano cinque navigli bene armati e più forti: i navigli erano mezzi gusci di noci, vuotati, ed ogni mezzo guscio aveva la lunghezza di quindici cubiti. Perdutili di vista, ci demmo a curare i feriti: e da allora in poi stemmo sempre su l’armi, aspettandoci qualche altra insidia: e ci giovò. Chè non s’era ancora corcato il sole, e da un’isola deserta ci vengono sopra con gran furia una ventina d’uomini cavalcanti sopra delfini: eran questi anche ladri, e i delfini che li portavano galoppavano e nitrivano come cavalli. Avvicinatisi sparpagliansi chi di qua chi di là, e ci scagliano ossi di seppie, ed occhi di granchi: e noi con dardi e saette li respin-