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di una storia vera. 113

e piansi di dover lasciare tanti beni e rimettermi alla ventura: ma quelli mi consolavano dicendo che tra pochi anni ritornerei tra loro, e m’additavano un seggio e un posto serbato per me, vicino ai migliori. Andai da Radamanto, e molto lo pregai di dirmi il futuro, ed i casi che avrei per mare. Ed egli mi rispose, che tornerei sì in patria, ma dopo molto vagare e molti pericoli; e non mi volle dire il tempo del ritorno, ma additandomi le isole vicine (ne comparivano cinque, ed una più lontana): Queste, mi disse, sono le isole degli empi, queste vicine, su cui vedi bruciare gran fuoco; la sesta è la città dei sogni, dopo viene l’isola di Calipso, che non ti apparisce affatto. Quando avrai oltrepassate queste isole giungerai sul gran continente che è opposto a quello abitato da voi: quivi dopo molti travagli, e viaggi per diverse genti, e tra uomini intrattabili, tornerai alla fine nell’altro continente. Questo disse: e sterpata di terra una radice di malva, me la porse, ingiungendomi che nei più gravi pericoli mi raccomandassi a quella. E mi diede questo avvertimento: Quando arriverai in quella terra, non cavare il fuoco con la spada, non mangiar lupini, non t’impacciare con zanzeri che abbiano più di diciotto anni. Abbi questo a mente, e sii certo che tornerai in quest’isola.

Dopo di questo cominciai i preparativi per la partenza: ma, essendo già l’ora, andai a cenare con loro. Il giorno appresso andai dal poeta Omero, e lo pregai di farmi un’iscrizione: ei subito me la fece, ed io la scrissi sovra una colonna di berillo, che rizzai sul porto. L’iscrizione era questa:

Luciano che fu caro ai beati
Numi del Cielo, esti beati lochi
Vide, e tornossi nella patria terra.

Essendo rimasto per quel giorno, il dimani partii: gli eroi vennero ad accompagnarmi: tra i quali accostommisi Ulisse, che di nascosto di Penelope mi diede una lettera da portare a Calipso nell’isola Ogigia. Radamanto mandò meco per accompagnarci il pilota Nauplio, acciocchè se fossimo portati a quelle isole, nessuno ci prendesse, chè noi navigavamo per altri affari nostri. Poichè uscimmo di quell’aere odoroso, subito ne circondò un gran puzzo come d’asfalto, di zolfo, e di