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di una storia vera. 107

chetto, dove altri suona, altri canta, altri applaude al suono del flauto e della cetera. Tra tutte queste dolcezze approdiamo in un porto, e fermata la nave, discendiamo, lasciando Scintaro e due altri compagni. Avanzandoci per un prato fiorito, scontrammo le guardie, le quali legatici con ghirlande di rose, che è il legame più duro per loro, ci menarono alla signoria: ed esse per via ci dissero che quella era l’isola de’ Beati, e n’era signore il cretese Radamanto. Condotti innanzi a costui, fummo giudicati dopo tre altre cause. La prima causa fu d’Aiace Telamonio, se egli debba star con gli eroi, o no: lo accusavano che era andato in furore e s’era ucciso: infine essendosi molto parlato e pel sì e pel no, sentenziò Radamanto: Per ora beva l’elleboro, e sia dato in mano al medico Ippocrate di Coo; dipoi quando avrà rimesso senno, avrà parte nel banchetto. La seconda fu una quistione amorosa fra Teseo e Menelao, che contendevano chi dei due dovesse tenersi Elena. E Radamanto decise che se la tenesse Menelao, il quale aveva sostenuto tante fatiche e tanti pericoli per lei: che Teseo aveva altre donne, l’Amazzone, e le figliuole di Minosse. La terza causa fu chi dovesse avere il luogo più onorato, se Alessandro di Filippo o Annibale cartaginese: fu deciso per Alessandro, e gli fu portato un seggio accanto al vecchio Ciro persiano. In quarto luogo fummo presentati noi, ed egli ci dimandò, per quale cagione essendo ancor vivi eravamo entrati in quel sacro paese? noi gli narrammo ogni cosa. Egli ci fa allontanare, e lungamente discute la nostra causa co’ suoi assessori: e fra gli altri e molti suoi assessori era Aristide il giusto, l’ateniese. Sentenziò e dichiarò: che della nostra curiosità e del nostro viaggio saremmo puniti dopo morte, per ora rimanessimo un certo tempo nell’isola in compagnia de’ Beati, e poi andassimo via. Stabilì il termine della dimora non più lungo di sette mesi. Allora ci caddero da sè le ghirlande, e così sciolti fummo condotti nella città al banchetto dei Beati.

La città è tutta d’oro, il muro che la cinge di smeraldi: ha sette porte, ciascuna un pezzo di legno di cannella: il pavimento della città e la terra dentro le mura è d’avorio: vi sono templi a tutti gli Dei e fabbricati di berillo: in essi are grandissime, d’una sola pietra, d’amatista, su le quali fanno