Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
di una storia vera. | 105 |
provvisione d’acqua, e destinammo Scintaro a far da pilota. Il giorno appresso era già morta: noi varammo la nave, e tiratala per l’intervallo dei denti, e ad essi sospesala dolcemente la calammo nel mare.
Essendo usciti a questo modo, salimmo sul dorso della balena, e fatto un sacrifizio a Nettuno, presso il trofeo, ivi rimanemmo tre dì, chè era bonaccia, e il quarto ci mettemmo alla vela. Per via scontrammo ed urtammo molti di quelli morti nella battaglia, e misurandone quei corpacci ne facemmo le maraviglie. Per alquanti giorni navigammo in un aere temperato; poi si messe un rovaio sì violento, e venne un freddo sì grande che tutto il mare gelò, non nella sola superficie, ma sino a trecento braccia di profondità, onde noi scendemmo e ci mettemmo a correre sul ghiaccio. Durava il vento, non si poteva andare, facemmo una pensata, che veramente fu di Scintaro. Scavammo nell’acqua una spelonca grandissima, e quivi stemmo trenta giorni, tenendo acceso un buon fuoco, e mangiando i pesci che avevam trovati nello scavare. Ma come mancavano le provvisioni, demmo di piglio alla nave incagliata, la tirammo su, ed aperte le vele, eravam portati come se navigassimo facile e dolcemente, sdrucciolando sul ghiaccio. Il quinto giorno venne il caldo, il gelo si sciolse, e tutto tornò acqua.
Fatto un cammino di un trecento stadii, approdammo ad un’isoletta deserta, dove ci provvedemmo d’acqua, che già mancava, saettammo due tori selvaggi, e partimmo. Questi tori avevano le corna non sopra la testa, ma sotto gli occhi, come voleva Momo. Indi a poco entriamo in un mare non di acqua, ma di latte: e in mezzo ad esso vedevasi biancheggiare un’isola, piena di viti: l’isola era un grandissimo formaggio, ben rassodato, come dipoi ce ne chiarimmo mangiandone, e girava intorno venticinque stadii: le viti erano cariche di grappoli, dai quali non vino, ma sprememmo latte, e bevemmo. Nel mezzo dell’isola era fabbricato un tempio a Galatea (la Lattaia) figliuola di Nereo, come diceva l’iscrizione. Durante il tempo che quivi rimanemmo avemmo per pane e companatico la terra dell’isola, e per bevanda il latte dei grappoli. Regina di quel paese dicevasi che era Tiro (la Caciosa), la