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104 | di una storia vera. |
molte greggie di delfini: così io potetti udire mentre combattendo si oltraggiavano tra loro, e gridavano i nomi de’ loro re. Infine quei d’Eolocentauro vinsero, affondarono un cencinquanta isole dei nemici, tre ne presero; le rimanenti voltarono la prora e fuggirono. Essi le inseguirono per certo spazio, ma sopravvenuta la sera, tornarono dove s’era combattuto, raccolsero molto bottino, e ripresero molte loro cose perdute, chè anch’essi ebbero affondate non meno di ottanta isole. Per quella battaglia isolana posero un trofeo, appesero al capo della balena una delle isole nemiche. Quella notte fecero stazione intorno la balena, alla quale legarono loro gomene: alcune isole stettero lì vicino sull’ancore. Le ancore erano grandi, di vetro, saldissime. Il giorno appresso, fatto un sacrifizio sovra la balena, e sovr’essa sepolti i loro morti, sciolsero lieti, e come cantando vittoria. E questa fu la battaglia dell’isole.
LIBRO SECONDO.
Da allora in poi non potendo io sopportare di rimanere più a lungo nella balena, andava mulinando come uscirne. In prima ci venne il pensiero di forare nella parete del fianco destro, e scappare. Ci mettemmo a cavare; ma cava, e cava quasi cinque stadi, era niente: onde smettemmo, e pensammo di bruciare il bosco, e così far morire la balena. Riuscito questo, ci saria facile uscire. Cominciando adunque dalle parti della coda vi mettemmo fuoco, e per sette giorni ed altrettante notti non sentì bruciarsi; nell’ottavo ci accorgemmo che si risentiva, chè più lentamente apriva la bocca, e come l’apriva la richiudeva. Nel decimo e nell’undecimo era quasi incadaverita, e già puzzava. Nel dodicesimo appena noi pensammo che se in un’apertura di bocca non le fossero puntellati i denti mascellari da non farglieli più chiudere, noi correremmo pericolo di morir chiusi dentro la balena morta: onde puntellata la bocca con grandi travi, preparammo la nave, vi riponemmo molta