Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu/111


di una storia vera. 103

tivar la vigna, a cogliere i frutti dagli alberi: insomma stavamo come prigionieri che vivono in un grande e sicuro carcere senza catena e comodamente. Un anno ed otto mesi passammo in questa guisa.

Nel nono mese, al quinto giorno, verso la seconda apertura della bocca (una volta l’ora la balena apriva la bocca, e così noi contavamo il tempo), verso dunque la seconda apertura, a un tratto udissi un gran gridare e un fracasso come di voga arrancata e di rematori. Sbigottiti ci arrampicammo alla bocca della balena, e stando in mezzo ai denti, vedemmo il più maraviglioso spettacolo di quanti mai io n’abbia veduti, omaccioni di mezzo stadio, che navigavano su grandi isole, come sovra triremi. So che racconto cose che paiono incredibili, ma pure le dirò. Le isole erano ben lunghe, non molto alte, ciascuna un cento stadi di circuito; sovr’esse navigavano un centoventi di quegli omaccioni, dei quali alcuni seduti in ordine ai due lati dell’isola vogavano tenendo in mano grandi cipressi con tutti i rami e le fronde, come fossero remi, dietro a poppa sovra un alto colle stava il piloto con in mano il timone lungo uno stadio, sulla prora una quarantina di armati combattevano, simiglianti ad uomini, tranne la chioma che era fuoco ed ardeva, onde non avevano bisogno di elmo. Invece di vele ciascuna aveva molta boscaglia, dove il vento colpiva, e portava l’isola dove voleva il pilota. V’era il nostromo che incurava la ciurma; erano sparvierate a remi, come galere. Da prima ne vedemmo due o tre, poi ne apparvero un seicento, che presero il largo ed appiccarono battaglia. Molte cozzavano con le prore fra loro, e molte a quell’urto affondavano: alcune s’appiccavano strettamente l’una all’altra e combattevano, e non si volevano staccare. Quelli schierati sulle prore mostravano un gran valore, saltando d’una in un’altra ed uccidendo, chè non si facevan prigioni. Invece di uncini e mani di ferro gettavano grandi polipi appiccati insieme, i quali abbrancavano gli alberi della boscaglia, e tenevano l’isola. Si ferivano scagliandosi ostriche ognuna quanto un carro, e spugne di un mezzo iugero. Una flotta era capitanata da Eolocentauro, un’altra da Bevimare: erano venute a battaglia per cagione di certa preda, come credo; perchè Bevimare aveva rubate ad Eolocentauro