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intorno la vita e le opere di luciano. 85

che io non abbia scritto un’apologia, ma cercata un’occasione per isciorinare una diceria: cioè utinam, egli risani, ed io non abbia dotto male, e non ci fosse stato bisogno tanto scrivere, e quello che ho scritto sia una chiacchierata. Ecco, come a me pare, il senso naturale e piano di questo scritto. Gl’interpetri qui scambiano il medico per l’ammalato, dicono che l’infermo si chiamava Esculapio; ed intendono le ultime parole come una confessione che non si è voluta scrivere un’apologia vera, ma una esercitazione rettorica: però credono che questa scrittura sia roba da scolare, ed indegna di Luciano. Io non sono un valente grecista, ma qui anche un par mio vede che si è preso un granchio, e de’ grossi: e per vederlo basta avere un po’ di senso comune. Quando si fa Esculapio un generale, non è maraviglia poi che si creda Luciano uno scolarello. Questa è una scrittura di occasione, è come una lettera di cortesia: non la tengo una perfezione di stile, non vi trovo dentro gran cosa perchè gran cosa non ci doveva essere, ma la tengo di Luciano.

XLVI. Che specie di scrittura sia quella intitolata, i Longevi io non mi so dire. È un catalogo di re, di capitani, di filosofi, e di altri uomini illustri che pervennero a tarda vecchiezza; di ciascuno sono indicati gli anni che visse, ed il genere di morte. L’autore dice che egli l’ha scritta per divino comando avuto in un sogno, e l’offre ad un Quintilio nel giorno del costui natale, come augurio di lunga vita. Pare che questi sia uno dei due fratelli Quintilii, celebri per il loro amore fraterno, e per le loro virtù, i quali furono insieme fatti consoli da Antonino, insieme nominati governatori della Grecia da Marco Aurelio, insieme uccisi da Commodo. (V. la Storia del Gihhon, cap. 4.) Il far menzione di un sogno (dice Gio. Clerico, Bibl. ant. e mod.,