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dialoghi dei morti. | 323 |
28.
Menippo e Tiresia.
Menippo. O Tiresia, se tu se’ cieco ancora non si può conoscere più, perchè tutti egualmente abbiamo le occhiaie vuote, e non si potria dire chi è Fineo e chi Linceo. Ma mi ricorda di aver udito dai poeti che tu eri indovino, e fosti d’ambo i sessi, e maschio e femmina. Or dimmi, per gli Dei, in quale vita provasti più piaceri, quando eri maschio, o quando eri femmina?
Tiresia. Più quand’ero femmina, o Menippo, perchè avevo meno faccende. Le donne comandano ai mariti, non debbono andare alla guerra, non fare le scelte, non parteggiare nei parlamenti, non impacciarsi ne’ giudizi.
Menippo. E non hai udito la Medea di Euripide, che compiange la condizione delle donne, come elle son misere, e soggetto alla insopportabile fatica del parto? Ma a proposito (i giambi della Medea me ne fan ricordare) partoristi mai, o Tiresia, quando eri femmina; o in quella vita rimanesti sterile e senza figliuoli?
Tiresia. Perchè mi dimandi questo, o Menippo?
Menippo. Non per male, o Tiresia. Rispondimi, se puoi.
Tiresia. Non ero sterile, e non partorii.
Menippo. Sta bene: ma vorrei sapere ancora se tu avevi la matrice.
Tiresia. L’avevo certamente.
Menippo. E a poco a poco la matrice svanì, la fonticella si chiuse, le mammelle si ritrassero, e mettesti il tallo e la barba? o a un tratto di femmina diventasti maschio?
Tiresia. Non vedo dove vai a parare con questa dimanda. Ma pare che non mi credi che così fu la cosa.
Menippo. E che, o Tiresia? non si dee dubitare, ma beversi queste cose senza cercare neppure se sono possibili, o no?
Tiresia. Tu dunque neppur crederai che alcune, di fem-